Raoul Pupo | Università di Trieste
Trieste 1945-1954: un profilo istituzionale e politico
Fra la metà degli anni ’40 e quella degli anni ’50 Trieste vive un destino affatto particolare vuoi sotto il profilo istituzionale, vuoi dal punto di vista politico.
Dal 1° maggio all’8 giugno 1945 la città è sottoposta ad amministrazione jugoslava, prima militare e poi civile. Dal 9 giugno 1945 al 14 settembre 1947 è sottoposta ad amministrazione militare anglo-americana in quanto appartenente alla zona A della Venezia Giulia. Dal 15 settembre 1947 al 25 ottobre 1954 è sottoposta sempre ad amministrazione militare anglo-americana, ma in quanto appartenente alla zona A del costituendo Territorio Libero di Trieste. Dal 26 ottobre 1954 fino alla metà degli anni ’70 l’Italia vi estende la propria amministrazione ed avvia un’opera di “annessione fredda” che troverà sanzione ufficiale in sede internazionale solo nel 1975.
Da parte loro, le forze politiche si dividono in due grandi schieramenti antagonisti: pro Italia e anti Italia. Al loro interno però la situazione è fluida. Da un lato, l’inziale protagonismo delle forze tradizionali (liberali, mazziniane, socialdemocratiche) viene progressivamente sostituito dall’egemonia democristiana. Rilevante è anche il ruolo dell’estrema destra. Dall’altro, il fronte slavo-comunista si spezza dopo la crisi del Cominform che scaglia gli uni contro gli altri stalinisti e titoisti, mentre prende corpo anche un robusto movimento indipendentista, strumentalmente sostenuto dalle forze di occupazione anglo-americane. Tali esperienze segneranno a lungo la vita della città.
Diana Barillari | Università di Trieste
L’architettura per il Territorio Libero di Trieste
Al termine della Seconda guerra mondiale la città di Trieste e la porzione di territorio denominata zona A – Free Territory of Trieste – vengono amministrate direttamente dalle forze alleate anglo-americane: il Governo Militare Alleato che nell’arco di nove anni (1945-1954) guiderà la città nella complicata fase della ricostruzione. Il compito del GMA è di far ripartire l’economia, creare occupazione, riparare strutture e infrastrutture, assicurare una casa a sfollati e profughi. Particolare attenzione viene posta ai temi sociali – edilizia popolare – e educativi – scuole e centri di aggregazione – oltre che alla ricostruzione delle infrastrutture industriali e portuali danneggiate, alla viabilità. Architetti e ingegneri contribuiscono a ripristinare la scena urbana e grazie all’appoggio del GMA una nuova generazione di progettisti ha la possibilità di impiegare il linguaggio architettonico improntato a innovazione, sia tecnica che formale. Una eco del dibattito in corso in Italia arriva a Trieste grazie alla presenza di Ernesto Nathan Rogers che celebrando la figura di Giuseppe Pagano, rivisita in chiave critica l’architettura del ventennio fascista. Accanto agli architetti della prima generazione – Umberto Nordio, Gustavo Pulitzer Finali, Vittorio Frandoli, Aldo Cervi – sono protagonisti quelli della seconda generazione – Roberto Costa, Dino Tamburini, Marcello D’Olivo, Antonio Guacci , Lucio Arneri, Mario Zocconi, Romano Boico – che segnano un deciso cambio di passo negli edifici costruiti o ideati per i concorsi. Un capitolo ancora poco esplorato è quello inerente all’influenza esercitata dalla cultura architettonica anglo-americana sugli edifici triestini, riscontrabile negli edifici costruiti per alloggiare i militari.
Roberto Cassanelli | Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, Ministero della Cultura
L’arte al tempo della guerra fredda. La tutela al confine orientale
A partire dal settembre 1943, con la discesa dai valichi alpini delle truppe tedesche e la creazione di due “zone di operazioni”, in Altoadige (O.Z. Alpenvorland) e nell’ampio territorio comprendente il Friuli e la Venezia Giulia, con l’Istria e la città di Fiume e la provincia annessa nel 1941 di Lubiana, denominato O.Z. Adriatisches Küstenland (OZAK), si determinò un doppio regime amministrativo, formalmente italiano e dipendente dai ministeri della Repubblica sociale italiana traslati al nord tra Brescia, Cremona, Padova e il lago di Garda, ma di fatto controllato dagli uffici del Supremo Commissario, il Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer, insediato a Trieste con l’obiettivo, alla fine della guerra, di annettere le due zone al Reich tedesco. Analoga scissione riguardò i beni culturali tutelati alla Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie di Trieste guidata da Fausto Franco (ad eccezione dei beni archeologici, dal 1939 passati alla Soprintendenza alle antichità delle Venezie con sede a Padova, guidata da Giovanni Brusin), ma in realtà sotto lo stretto, vigile controllo del Kunstschutz, sezione della V Abteilung del Supremo Commissariato, con sede a Udine, di cui era responsabile Walter Frodl, direttore del Landesmuseum di Klagenfurt, con la collaborazione di Erika Hanfstaengl, storica dell’arte di Monaco, e Antonio Nicolussi Moretto, già dipendente della Soprintendenza di Padova e optante per la cittadinanza tedesca nella Grosse Option del 1939 in Sudtirolo. Questa “diarchia imperfetta” non ebbe tuttavia termine con la conclusione della guerra. Dopo la resa delle truppe tedesche e la breve, feroce occupazione dell’armata jugoslava (nella quale vennero svuotate le casse della Soprintendenza e licenziati tutti i dipendenti), al Kunstschutz tedesco si sostituì un analogo ufficio del Governo Militare Alleato, mentre il territorio veniva diviso in due tronconi: da una parte il Friuli, con una sorta di Soprintendenza residuale stabilita a Udine, alla cui guida fu posto l’architetto Umberto Piazzo; dall’altra la Venezia Giulia e dal 1947, dopo la sottoscrizione del trattato di pace con la quale si cedeva alla Jugoslavia quasi per intero la Venezia Giulia e l’Istria, il moncone insensatamente ritagliato della zona A del Territorio libero di Trieste. Già Franco, d’altra parte, prevedendo la divisione della regione, aveva provveduto alla vigilia della liberazione a incaricare Umberto Piazzo e Carlo Someda de Marco della tutela un Friuli. Grazie a una preziosa testimonianza di Gino Pavan redatta in occasione del cinquantesimo anniversario del ritorno all’Italia di Trieste, degli scritti di Fausto Franco e delle carte d’archivio è possibile ricostruire nelle sue linee essenziali la politica di tutela e le operazioni di restauro svolte nel primo dopoguerra, tra tensioni internazionali e prodromi di guerra fredda.
Elena Franchi | Ricercatrice storica dell’arte
La Soprintendenza di Trieste nel dopoguerra: Gino Pavan e Fausto Franco
Dopo la formazione triestina, Gino Pavan proseguì i suoi studi a Venezia e si laureò allo IUAV (Istituto Universitario di Architettura), dove, dal 1937, insegnava Fausto Franco. Quando nel novembre 1945 iniziò la sua attività presso la Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie della Venezia Giulia e del Friuli Pavan ritrovò, questa volta in veste di soprintendente, Fausto Franco. Sono anni difficili per la città: la presenza del Governo Militare Alleato, le tensioni con la Jugoslavia, la requisizione degli edifici, i restauri da affrontare. Ma è anche un periodo ricco di incontri e amicizie, come quella con Maria Pasquinelli, la maestra elementare che il 10 febbraio 1947, giorno della firma del Trattato di pace, sparò al generale inglese Robert de Winton, comandante della guarnigione alleata a Pola, in segno di protesta per la cessione della città alla Jugoslavia. L’attività presso la Soprimntendenza di Trieste si concluse nel 1952, quando Pavan seguì Franco, nominato soprintendente ai Monumenti di Venezia, nella città lagunare.
Silva Bon | Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale “Leopoldo Gasparini”
Trieste nel secondo dopoguerra: un affresco (1945-1960)
Intendo proporre un percorso critico che parte dalla conclusione della Seconda guerra mondiale, per Trieste il 30 aprile 1945, e si ferma alla fine degli Anni Cinquanta del Novecento.
Attraverso la lettura di momenti topici, legati al mondo sociale, politico e culturale, ho potuto costruire un affresco di presenze vive di intellettuali democratici giuliani, operanti sul Territorio e impegnati nella Ricostruzione di un tessuto urbano, fortemente degradato. Mi sono soffermata, tra l’altro, sulla testimonianza di alcune personalità emblematiche, attivi protagonisti della realtà triestina, a cominciare da Giani Stuparich, Pier Antonio Quarantotti Gambini, Carlo Schiffrer.
Gino Bandelli | Università di Trieste
Gino Pavan archeologo. I primi anni fra Trieste e Pola (1945-1947)
La relazione consterà di due parti. La prima sarà dedicata all’opera svolta dal giovane Pavan nell’équipe che, fra il 3 giugno1946 e il 9 settembre 1947, portò quasi a compimento il restauro del tempio di Pola dedicato a Roma ed Augusto, gravemente danneggiato dal bombardamento del 3-4 marzo 1945. La seconda, che ripercorrerà a grandi linee la sua vasta e molteplice attività di funzionario prima, di titolare poi di varie soprintendenze (da ultimo, fra il 1981 e il 1986, quella del Friuli-Venezia Giulia), esaminerà in particolare i saggi dedicati dallo Studioso a Pietro Nobile ed al rapporto intercorso nell’opera di quest’ultimo tra le ricerche di archeologia romana e l’attività di architetto neoclassico.
Irene Spada | Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per il comune di Venezia e Laguna, Ministero della Cultura
Pavan e la Soprintendenza ai monumenti di Venezia
Nel 1952 Gino Pavan lasciò Trieste per entrare nel personale di ruolo dipendente dalla Soprintendenza medioevale e moderna di Venezia con sede a Palazzo Ducale, seguendo l’architetto Fausto Franco. Promosso disegnatore nel 1954, a seguito di concorso, fu nominato nel 1964 architetto in prova nel ruolo del personale della carriera direttiva della Soprintendenza di Venezia. Solo pochi mesi più tardi fu promosso per merito comparativo architetto principale. La sua attività̀ si svolse in massima parte nella provincia di Rovigo, fino al 1960, e di quelle di Padova e Vicenza fino al 1972, progettando e dirigendo importanti lavori di restauro. Soffermandosi sull’attività̀ di Padova, molto ricca, degne di nota e impegnative furono le opere di restauro eseguite sui monumenti danneggiati durante il secondo conflitto mondiale. Tra i molti interventi curati da Pavan a Padova si possono inoltre ricordare quelli al complesso benedettino di Santa Giustina, alla chiesa di Santa Sofia e alla chiesa degli Eremitani. Presso l’ex convento degli Eremitani l’architetto curò anche una prima sistemazione dei chiostri destinati al nuovo Museo Comunale. La sua esperienza presso l’ufficio veneziano si concluse nel 1972, anno in cui approdò, a seguito di avanzamenti di carriera, alla guida della Soprintendenza ai monumenti per la provincia di Ravenna, Ferrara e Forlì̀ in qualità̀ di dirigente.
Angela Dibenedetto | Scuola Archeologica Italiana di Atene
Luigi Pavan e la Scuola Archeologica Italiana di Atene
La collaborazione di Luigi Pavan con la Scuola Archeologica Italiana di Atene (SAIA) inizia nell’estate del 1963. A far da tramite fra l’architetto e il Direttore della Scuola, Prof. Doro Levi, sono il prof. Paolo Verzone, ordinario di Storia dell’Architettura al Politecnico di Torino, fondatore della Missione Archeologica Italiana di Hierapolis di Frigia in Turchia e Fausto Franco, allora Soprintendente ai Monumenti a Venezia già allievo della Scuola Archeologica di Roma ed Atene nel 1929.
In una lettera datata 11 luglio 1963 indirizzata al Direttore della Scuola Archeologica Italiana Pavan si presenta: [ … ] Illustre Professore, Mi è stata segnalata, tramite il prof. Verzone, la Sua richiesta di un architetto per gli scavi di Jasos. Con vivissimo interesse parteciperei […]. Il prof. Fausto Franco mi ha sempre parlato di lei e della Sua opera […]. Poiché non mi conosce mi permetto di tracciarLe un mio breve curriculum: nato a Trieste nel 1921 e sono alla Soprintendenza dal 1946, prima a Trieste col prof. Franco poi, sempre con lui a Venezia fino al 1955, quindi con l’ing. Rusconi e con l’arch. Guidotto. Sono assistente volontario di restauro alla facoltà di architettura di Venezia […]. (©SAIA, Archivi Amministrativi 1963/64, X/A).
Poco dopo, anche Fausto Franco invia al Levi una nota di presentazione dell’architetto: […] Caro amico, Mi è grato presentarti l’Arch. Dott. Gino Pavan, colonna angolare della Soprintendenza ai Monumenti di Venezia. Sono certo che da lui avrai il massimo e generoso aiuto, sia nella direzione di scavi, sia nella ricomposizione grafica che nel restauro, poiché è anche assistente di Restauro dei monumenti alla Facoltà di Architettura di Venezia. […]. Con viva cordialità e affettuosità Franco. (©SAIA, Archivi Amministrativi 1963/64 – 3.8.1963).
Ha inizio così la collaborazione di Luigi Pavan con la SAIA che durerà poco più di un decennio e lo vedrà impegnato nelle Missioni archeologiche in Turchia e Creta ed infine nel progetto per la nuova sede della SAIA ad Atene.
In Turchia dal 1963 al 1969 è sempre presente tra i componenti dell’équipe della Missione a Iasos, principalmente impegnato in progetti di restauro. Da subito, 1963, si occuperà dell’anastilosi del Mausoleo romano addossato all’acquedotto della città. Negli anni a seguire realizzerà anche il restauro della Casa della Missione italiana presso il porto di Asin Kurin e la redazione di una nuova planimetria della città sull’isola e delle fortificazioni di terraferma. La ricca documentazione degli interventi si conserva negli Archivi Amministrativi della SAIA e nel Fondo Iasos.
Al termine della prima Missione di Pavan a Iasos, nel 1963, l’architetto viene inviato dal Direttore Levi a Festòs (Creta) con il compito di studiare delle soluzioni per la copertura di alcuni ruderi rinvenuti nelle precedenti campagne di scavo. Come in Turchia, Pavan si mette subito al lavoro e alla fine dell’estate del 1964 ha già pronte delle proposte: […] Le spedisco a parte i disegni di massima per la tettoia del corridoio 7III. (©SAIA, Archivi Amministrativi 1963/64/8.9.1964). La realizzazione delle coperture lo terrà impegnato dal 1965 fino al 1969.
Nel 1968 intanto vengono avviate dalla SAIA le trattative per l’acquisto del terreno di odòs Parthenonos 14-16, per la costruzione della sede ateniese della Scuola Archeologica Italiana. Da subito viene coinvolto Gino Pavan, al quale veniva affidata per incarico del Ministero italiano della Pubblica Istruzione l’esecuzione dei progetti del nuovo edificio. Andate a buon fine le pratiche per l’acquisto del terreno e l’approvazione del progetto anche da parte delle autorità greche, nell’agosto del 1970 inizia la costruzione dell’edificio. I lavori, eseguiti dalla ditta appaltatrice Rubessis con la direzione dell’ing. Manganà, verrano seguiti puntualmente in tutte le loro fasi da Pavan fino all’inaugurazione della nuova sede nel dicembre del 1975 alla presenza del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali Giovanni Spadolini.
Emanuela Fiori | Direzione regionale musei dell’Emilia-Romagna, Ministero della Cultura
“nel nostro non sempre facile lavoro”: Gino Pavan e il Museo Nazionale di Ravenna tra restauro e valorizzazione
Gino Pavan fu nominato Soprintendente ai Monumenti per le province di Ravenna, Ferrara e Forlì nell’aprile del 1972, incaricato della tutela di un territorio ricco sia paesaggisticamente che di monumenti fondamentali nel patrimonio culturale del paese come, tra i tanti, la Basilica di S.Apollinare in Classe, l’Abbazia di Pomposa o Palazzo dei Diamanti a Ferrara. La sola ubicazione degli Uffici della Soprintendenza all’interno del Complesso di San Vitale, adiacenti al Museo Nazionale, così come il dovere della tutela dell’edificio storico, portarono il Soprintendente a seguire con grande attenzione la difficile situazione dell’istituzione ravennate, allora ancora in consegna alla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia-Romagna. Pavan si concentrò dal 1972 al 1977 sulle necessità manutentive immediate del Museo, la cui chiusura al pubblico si protraeva nell’insoddisfazione dell’opinione pubblica. Nel dicembre 1977 Il Ministero Beni Culturali, di recentissima costituzione, assegnò il Museo Nazionale alle competenze della Soprintendenza Beni Architettonici di Ravenna. I successivi tre anni videro Pavan impegnatissimo in una stagione di rinnovamento architettonico e di valorizzazione dell’istituzione ravennate attraverso l’acquisizione di nuovi spazi espositivi, il riordino delle collezioni e infine la grande mostra dedicata alle icone cretesi –veneziane.
Questo intervento intende dare conto di quel decennio attraverso documenti d’archivio, articoli di giornale e documentazione fotografica.
Serena Ciliani | Direzione regionale musei dell’Emilia-Romagna, Ministero della Cultura
Gino Pavan e il Complesso pomposiano, tra passione archeologica e restauro conservativo
Tra i numerosissimi interventi di restauro distribuiti in tutto il territorio di competenza dell’ex Soprintendenza ai Monumenti per le Province di Ravenna, Ferrara e Forlì, l’intervento presso l’ex abbazia benedettina di Pomposa coinvolge in maniera particolare Gino Pavan.
Come già a Padova agli inizi della sua carriera, il restauro architettonico è un’occasione di conoscenza oltre che atto doveroso tutela. L’intervento viene concepito a 360 gradi: le indagini archeologiche e gli studi in archivio affiancano e completano i consolidamenti statici. Il coronamento dei lavori, che riguardano varie emergenze, dagli interventi ai pavimenti della chiesa agli affreschi degli ambienti monastici, è l’istituzione del nuovo museo pomposiano.
La campagna di lavori di restauro affrontata da Pavan si apre nel 1975 e verrà portata a termine agli inizi degli anni Ottanta e riguarderà non solo gli interni dell’Abbazia, ma anche il campanile dell’ex plesso benedettino, gli ambienti una volta adibiti a dormitorio e il Palazzo della Ragione dove l’Abate amministrava la giustizia.
Massimiliano David | Sapienza Università di Roma
Gino Pavan e Ravenna archeologica
La figura di Gino Pavan occupa un posto significativo non solo nella storia del restauro dei monumenti ravennati, ma anche nella storia della ricerca archeologica. A Ravenna la sua attenzione si estende a largo spettro sia agli edifici da lui curati e restaurati, ma anche agli edifici sottoposti a speciali indagini di carattere precipuamente archeologico negli anni della sua soprintendenza (1972-1976). Spicca il suo impegno investigativo nei riguardi della chiesa di Santa Croce.
Nel guidare una vasta campagna di scavi archeologici a Santa Croce si dimostra capace di estendere i suoi interessi verso la comprensione dei caratteri fondamentali della complessa storia urbana di Ravenna. E’ passato al setaccio l’intero quartiere – già insistentemente ritenuto il quartiere degli imperatori (“regio domus Augustae”) – con un’articolazione cronologica che include pienamente l’età romana e non solo i classici monumenti tardoantichi della città. Erano anni nei quali le tre grandi specializzazioni degli operatori nel campo dei beni culturali (Stora dell’Arte, Archeologia e Architettura) mantenevano addentellati e aderenze, poi sempre più affievoliti col passare degli anni.
Quando avvicina il mausoleo di Teodorico non si dimostra solo incisivo fautore della sua conservazione, ma anche curioso indagatore della storia della documentazione e dell’approccio antiquario al monumento oltre che attento cultore della storia degli studi.
Si mosse con agilità dal particolare al generale come quando si dedicò ad una visione d’insieme del periodo giustinianeo a Ravenna. In questo lavoro è ben evidente non solo la lucida visione dei problemi, ma anche la forte capacità di affermare la necessità di conoscere analiticamente lo stato degli studi in una singolare condivisione di intenti con il contemporaneo Giuseppe Bovini, che, senza dedicarsi personalmente alla ricerca archeologica, sentiva sempre l’imprescindibile urgenza di una precisa comprensione di ogni passo del pensiero critico per l’avvio di qualunque ricerca.
Paola Novara | Direzione regionale musei dell’Emilia-Romagna, Ministero della Cultura
Pavan nella basilica di S. Apollinare in Classe: la collaborazione fra Soprintendenza di Ravenna e Mons. Mario Mazzotti attraverso il carteggio inedito
Durante il suo mandato di Soprintendente a Ravenna (1972-1980), Gino Pavan diede avvio ad alcune importanti ricerche archeologiche volte a ricostruire la storia di alcuni antichi edifici di culto del ravennate. Fra questi emerge la basilica Classicana di S. Apollinare in cui Pavan effettuò alcuni interventi di restauro e indagine del sottosuolo. Nel mio contributo vorrei ripercorrere quelle indagini aggiungendo a quanto noto alcune informazioni scaturite dall’analisi della documentazione inedita.
Corrado Azzolini | Segretariato regionale del Ministero della Cultura per l’Emilia-Romagna
Pavan soprintendente a Trieste e nel Friuli terremotato
Gino Pavan Soprintendente nel Friuli terremotato, ha lasciato non solo una serie di edifici tutelati, restaurati e riconsegnati alle comunità, ma anche una forte eredità ai Soprintendenti delle generazioni successive che si sono trovati ad affrontare situazioni emergenziali sui beni culturali danneggiati da terremoti o da altri eventi calamitosi. Metodi e principi importanti che hanno dato risultati eccellenti nel territorio friulano e che ancora si rivelano utili per affrontare il tema generale del restauro dei beni danneggiati dal sisma, soprattutto nei casi in cui ciò che resta, dal punto di vista architettonico, sono poco più che macerie ma con ancora un forte valore urbanistico e sociale che è necessario restaurare con una prospettiva più ampia.
Giuseppe Franca | Società di Minerva
L’esperienza sul campo
Invitato a riferire sull’esperienza sul campo di Gino Pavan, lo scrivente, architetto, ne limita il richiamo al solo ambito paesaggistico e monumentale per il periodo 01.01.81 – 31.01.86, quando lo ebbe come Soprintendente.
Al momento del suo insediamento, l’Ufficio si stava riorganizzando, dopo gli stravolgimenti dovuti al terremoto del Friuli, che l’aveva messo di fronte a una realtà di difficilissima gestione, per cui, negli anni della prima emergenza, non fu possibile pervenire a risultati rilevanti, tant’è che allo stesso si contestavano, qualche volta a ragione, inerzia e immobilismo. Il primo contatto fu tutt’altro che morbido, non condivise certe scelte adottate dai suoi 3 predecessori, cassò alcune delle loro proposte, riportò nell’alveo d’una corretta prassi amministrativa, certi provvedimenti gestiti, a suo giudizio con eccessiva leggerezza. Sul piano dell’organizzazione interna riordinò gli incarichi ai singoli funzionari secondo criteri razionali e quanto alle 2 fondamentali sfere di competenza istituzionale, tutela ambientale e monumentale, se per la prima, fu relativamente poco impegnato, salvo, dove necessario, rivisitare alcuni vincoli, elaborati con margini d’indeterminatezza, fu alla seconda che riservò, di fatto, le maggiori attenzioni, come imponeva l’urgenza del ripristino del patrimonio storico artistico del Friuli.
Superata la fase d’ambientamento, quell’opera di ricostruzione, potè decollare a pieno regime e, nell’arco di quei 5 anni, furono portati a termine, sotto la sua costante e continua supervisione, centinaia d’interventi. Rifacendosi a quella stagione di grande operosità, lo scrivente, fatta una panoramica sui lavori a lui affidati, intende, a conclusione della sua comunicazione, soffermarsi sui più importanti: quelli relativi al restauro del Duomo di Gemona.
Edino Valcovich | Società di Minerva
Gino Pavan ed il suo interesse nei confronti dell’Archeologia Industriale regionale
Ho avuto la fortuna di conoscere Gino Pavan all’inizio degli anni’80, all’allora Istituto di Architettura ed Urbanistica dell’Università di Trieste dove aveva da qualche anno l’incarico del corso di “Restauro e Conservazione” degli edifici.
A tale ruolo era stato chiamato dall’allora direttore dell’Istituto stesso, Roberto Costa, che conosceva ed apprezzava bene le qualità professionali di Gino Pavan che si associavano, in maniera esemplare, al suo importante ruolo di Sopraintendente ai Beni Culturali della nostra regione.
Io in quel periodo tenevo il corso di “Edilizia Industriale” ed avevo una certa attenzione culturale, anche per completare i contenuti del corso stesso, nei confronti degli edifici industriali di antico impianto, della loro storia, della possibilità di conservarli e di individuare nuove possibili funzioni per gli stessi. Tale interesse era condiviso oltre che dal sottoscritto, da Diana de Rosa e Marco Pozzetto, l’indimenticabile storico dell’architettura, tanto da formare un piccolo ma determinato gruppo di lavoro.
È stato in quello straordinario cenacolo che era l’allora Istituto di Architettura, che abbiamo avuto l’occasione così di raccontarci vicendevolmente le nostre esperienze, i reciproci interessi, i contenuti delle ricerche sviluppate, i progetti realizzati ed i propositi per i programmi futuri.
Ed è ancora in quelle circostanze che ho potuto riconoscere gli elementi fondamentali del carattere di Gino Pavan: la sua enorme curiosità nei confronti di tutte le espressioni dell’architettura, anche quelle generalmente poco diffuse, la sua vasta conoscenza delle varie esperienze architettoniche non solo italiane, la sua disponibilità a misurarsi con tematiche non ancora praticate di cui sentiva la necessità di conoscenza.
È con questo proposito di indagare nuovi linguaggi, di definire nuovi nessi tra varie esperienze, che nasce e si sviluppa così un lavoro comune con l’obiettivo di allargare il campo di ricerca sino allora sviluppato dal gruppo di lavoro sopra citato, che aveva avuto come ambito di indagine gli edifici industriali di antico impianto della città di Trieste.
All’epoca lo studio e l’interesse per gli edifici industriali di antico impianto, il più delle volte abbandonati o in via di dismissione, non era molto diffuso e ciò valeva anche per le azioni delle varie Soprintendenze regionali interessate da una miriade di impegni sui territori classici dell’architettura e dell’archeologia.
Proprio per queste ragioni dobbiamo riconoscere a Gino Pavan, anche in questo caso, il valore della sua istintiva curiosità, la determinazione nel cercare di riconoscere in qualsivoglia costruzione, l’esistenza di quei valori e caratteri che fanno di un’edilizia sostanzialmente funzionale, un’architettura con specifici valori costruttivi, simbolici, sociali, in sostanza culturali.
E sono proprio questi valori che molte volte si associano alle architetture industriali di antico impianto.
Da queste premesse sono nate successivamente una serie di iniziative di ricerca e di confronto su questi ambiti di lavoro, sviluppate con l’apporto importante di Gino Pavan, che possono essere considerate di un certo valore culturale e che hanno avuto un significato certamente innovativo nel quadro dei lavori di ricerca sviluppati in quegli anni.
Proprio su queste potremo soffermarci nell’intervento che sarà sviluppato nelle giornate del Convegno in suo ricordo.
Claudia Crosera e Luca Geroni | Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, Ministero della Cultura
Gino Pavan e la riscoperta della collezione Eugenio Garzolini
A partire dal 1939 lo Stato italiano iniziò ad acquistare la Collezione Eugenio Garzolini, poliedrico docente e collezionista triestino, appassionato di arte popolare e arti applicate, che aveva raccolto più di 20.000 pezzi nella sua casa di via Romagna a Trieste. Questa ingente mole di beni, dopo essere stata messa in sicurezza durante la Seconda guerra mondiale nei luoghi di ricovero preposti in regione, è rimasta chiusa in casse di legno nelle soffitte di Miramare fino agli anni ’80, quando il Soprintendente Gino Pavan, consapevole dell’importanza della collezione, fece aprire le casse, affidando a catalogatori, restauratori e fotografi le prime attività di inventariazione, schedatura e messa in sicurezza dei beni. La prima occasione di fruizione pubblica si ebbe poi nel 1983, quando Pavan organizzò una mostra in Sala Franco a palazzo Economo e dopo qualche anno, nel 1986 pubblicò il primo catalogo con una selezione delle opere dell’intera collezione. Dopo qualche decennio la Soprintendenza ha deciso di continuare il suo lavoro e attualmente la collezione è sottoposta a un lavoro di revisione e riordino nell’attesa di poter portare a compimento il progetto di un nuovo percorso espositivo delle opere più significative.
Paola Ventura | Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, Ministero della Cultura
Archeologia urbana a Trieste: gli esordi negli anni ‘80
Il 1981, anno dell’insediamento di Gino Pavan nella carica di Soprintendente del Friuli Venezia Giulia, coincide con il completamento – a mezzo di un decreto del novembre 1981, che trovò piena attuazione nel 1982 – del passaggio delle competenze archeologiche su tutto il territorio regionale a questo Istituto, attribuendo ad esso la la tutela sul Friuli, già affidata alla Soprintendenza alle Antichità del Veneto.
In realtà nell’ambito della Soprintendenza per i BAAAAS, potenziata dopo il terremoto del 1976 con un ufficio anche a Udine, era già presente a Trieste un ufficio archeologico, con un funzionario responsabile per la città ed il suo territorio: a quegli anni (1976-1977) risale la scoperta e valorizzazione del tratto di acquedotto romano scoperto a Borgo San Sergio, in un complesso di edilizia popolare; ma già nel decennio precedente si segnala un importante intervento di “archeologia urbana” ante litteram, ovvero il ri-trovamento e, caso assolutamente degno di nota per l’epoca, la musealizzazione della basilica paleocristiana di via Madonna del Mare, rinvenuta nel 1963, a cura della Soprintendenza retta allora dall’architetto Gabriella Pross Gabrielli.
Tuttavia il confronto fra le esigenze della conservazione e quelle della città moderna esplode proprio nella prima metà degli anni ‘80: a quello stesso 1981 risale l’acquisizione da parte del Ministero, a Roma, dell’area di Crypta Balbi, che rappresenta probabilmente ancora oggi l’esempio paradigmatico di un progetto, in tal caso pianificato, di recupero della storia di un intero isolato, con la sistematica applicazione delle metodologie archeologiche.
È invece sicuramente più per necessità che gli stessi problemi vengono affrontati nel quartiere fortemente degradato della Cittavecchia di Trieste, ed in particolare nell’area immediatamente retrostante il Teatro romano. Nel lasso relativamente breve di un quinquennio, ha il suo avvio e trova soluzione la questione sollevata dalla scoperta della domus romana e del soprastante sepolcreto tardoantico presso la medievale torre Donota, in occasione della costruzione di un edificio, nuovamente, dell’allora IACP: con una serie di passaggi non facili, l’area viene destinata definitivamente alla fruizione archeologica, grazie alla progettazione e costruzione dell’Antiquarium (1986), che fu una delle ultime realizzazioni di Gino Pavan prima del pensionamento.
Va anche sottolineato che lo scavo venne tempestivamente divulgato (in maniera preliminare, ma dandovi un seguito negli anni successivi), nell’ambito della mostra realizzata dalla Soprintendenza nel 1982, dedicata ai “Ritrovamenti archeologici recenti e recentissimi nel Friuli-Venezia Giulia” e poi confluita nel primo volume della nuova collana “Relazioni” edita dall’Istituto, proprio a celebrare l’unificazione delle competenze archeologiche cui si faceva inizialmente cenno.
Rossella Fabiani | Società di Minerva
La ricerca di una vita: Pietro Nobile architetto
Pietro Nobile è legato indissolubilmente al percorso lavorativo di Gino Pavan. Fu, infatti, da lui stilata nel 1951 la dichiarazione di vincolo della collezione di disegni del ticinese che stava per essere acquisita dalle Stato italiano. Sarà in occasione della esposizione “Trouver Trieste. Portraits pour una ville” a Parigi nel 1985 che Pavan avviò la ricerca sulla figura dell’architetto che tanta importanza ebbe nella prima metà dell’800, rivestendo importanti ruoli a Trieste e a Vienna e rinnovando il costruire e l’insegnamento accademico. Un primo bilancio degli studi su tracciato da Pavan nell’organizzazione del convegno nel 1999 al quale seguirono innumerevoli volumi tra i quali la pubblicazione delle lettere e di altri documenti che hanno contribuito a far conoscere una personalità di spicco nel mondo architettonico neoclassico.
Fabiana Salvador | Archivista collaboratore presso Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, Ministero della Cultura
L’archivio Luigi Pavan. La conservazione della memoria
La sede di Trieste della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio ha acquisito l’archivio Pavan per conservare, valorizzare e rendere fruibile una documentazione ritenuta di pubblico interesse.
Vi si conservano materiali raccolti e prodotti dall’architetto nel corso della propria attività professionale, svolta tanto per privati quanto presso Enti statali – tra i quali la sede di Trieste della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio –.
Le carte, organizzate in origine fra lo studio e l’abitazione, documentano quanto Pavan ha ritenuto importante e utile conservare. Spiccano i materiali relativi alle sue pubblicazioni, supportate da spogli meticolosi in archivi pubblici e privati, nonché da ricerche bibliografiche su testi rari, alcuni presenti in copia e arricchiti dalle sue note.
Fotografie e corrispondenza privata restituiscono ambiti e retroscena di alcuni eventi nel panorama culturale triestino, nazionale e internazionale.
Guido Zucconi | Università IUAV di Venezia
Gino Pavan nello IUAV di Giuseppe Samonà
L’Istituto Superiore di Architettura di Venezia (prima ancora, Regia Scuola Superiore di Architettura) vede la presenza di Gino Pavan in tre distinte fasi: le prime due in veste di studente, la terza nei panni di assistente alla cattedra di Restauro. Dopo essersi diplomato presso il Liceo artistico, il giovane Pavan si iscrive alla Facoltà di Architettura una prima volta nel 1945: pochi sono gli esami sostenuti e (probabilmente) ancor meno numerosi i corsi seguiti in questa fase che si conclude per esaurimento nel corso dei primi anni Cinquanta.
In seguito, il trasferimento alla soprintendenza veneziana gli facilita il compito di frequentare l’Istituto allora guidato da Giuseppe Samonà: figura di direttore-monarca, egli regnerà incontrastato, per quasi trent’anni, dal 1943 al 1971, su quello che nel frattempo è diventato IUAV. Dopo essersi re-iscritto nel 1955, Pavan consegue il titolo di dottore in Architettura alla fine di quel decennio.
A metà degli anni Sessanta, egli sarà poi chiamato come assistente al corso di Restauro, allora affidato ad Angelo Scattolin: l’incarico ufficiale gli verrà affidato per due anni consecutivi (nel 1965-66 e nel 1966-67). In questa decisione ha forse avuto un ruolo Fausto Franco, suo mentore e referente all’interno della scuola veneziana. In realtà, come si vince dalla documentatissima testimonianza relativa al biennio sopra citato, Pavan svolge ben più di un semplice assistentato accanto ad un titolare che, proprio in quegli stessi anni, appare molto impegnato sul fronte della professione.
La presenza di Pavan nella Facoltà di Architettura si inscrive interamente all’interno del periodo dominato dalla figura di Samonà, secondo alcuni, fondatore di una vera e propria “scuola”. Al di là di una consolidata mitologia, lo IUAV rappresentò allora qualcosa di differente nel panorama italiano: resta da chiedersi se questa diversità abbia avuto un ruolo nella formazione di Gino Pavan.
Giuliana Marini | Società di Minerva
Gino Pavan presidente della Società di Minerva e direttore dell’ “Archeografo triestino”. Gli studi e le iniziative relative a Pietro Nobile.
Il lavoro mette in luce l’apporto dato dalla Società di Minerva assieme a Gino Pavan, suo presidente e direttore dell’Archeografo triestino, agli studi su Pietro Nobile, figura di rilievo europeo che fu tra i Soci fondatori. In particolare, si sottolinea la valorizzazione del prezioso materiale documentario e artistico (che allarga la conoscenza ad altri personaggi della famiglia Nobile) donato nel 2014 dagli eredi – per tramite della Società – alla Città di Trieste.