#estateminervale: La prima serie dell’«Archeografo Triestino» (1829-1837)

Domenico Rossetti ideò l’Archeografo Triestino nel 1829, come strumento per la promozione culturale della Società di Minerva ben diciannove anni dopo la sua fondazione: ma perché lo volle? E che tipo di strumento voleva fosse? Grazie allo scritto di Fulvio Salimbeni è possibile scoprire come fosse già allora un moderno mezzo di promozione culturale e di preservazione della memoria storica e artistica locale, importantissimo ancor più al giorno d’oggi…

LA PRIMA SERIE DELL’«ARCHEOGRAFO TRIESTINO» (1829-1837). UNA RIVISTA DI ERUDITO IMPEGNO CIVILE – di Fulvio Salimbeni

[in “Neoclassico. Arte, architettura e cultura a Trieste 1790-1840”, a cura di Fulvio Caputo, disponibile presso le biblioteche di Trieste >> http://bit.ly/2YMBbuP]

I primi quattro volumi dell' "Archeografo Triestino. Raccolta di opuscoli e notizie per Trieste e per l'Istria", appartenuti a Domenico Rossetti e recanti il suo ex libris, 1829 (I) - 1837 (IV), proprietà privata.

La prima serie dell’Archeografo si esaurì nel 1837, solo al quarto volume in quanto il quinto – nonostante fosse in fase avanzata di preparazione – non poté uscire a causa della morte del suo direttore. I volumi apparvero nel 1829, 1830, 1831 e il quarto solo nel 1837. Questi quattro volumi stampati in ben 8 anni rappresentano un episodio importante nella storia culturale triestina, ma anche regionale e, per certi versi, pure italiana in quanto risultano essere il primo non casuale tentativo di varare un’impresa editoriale espressamente riservata alla storia e frutto delle fatiche non più di un solo esperto, come era successo innumerevoli volte, ma di un gruppo omogeneo di colti, uniti anche da vincoli d’amicizia e da comunanza d’interessi quali furono Kandler, Stancovich, Fontana e Lugnani che affiancarono Rossetti nell’impresa. In pratica, tentò di attuare in scala ridotta quello che sarebbe stato tredici anni dopo l’«Archivio storico italiano» del Vieusseux.

Il sottotitolo originario dell’Archeografo era “Raccolta di opuscoli e notizia per Trieste e per l’Istria” – poi modificato in “Raccolta di memorie, notizie e documenti per servire alla storia di Trieste, del Friuli e dell’Istria” – in quanto voleva chiarire come la rivista si sarebbe occupata di «antiche cose nostrane» . Primario, negli scritti, era un’attenta citazione delle fonti in modo da evitare ogni ambiguità e questi dovevano essere firmati dall’autore che si sarebbe assunto ogni responsabilità delle proprie affermazioni. Aspetti minori, ma indicativi di un atteggiamento moderno e rispettoso nei riguardi del pubblico e improntati anche a rigore filologico. Rossetti voleva quindi dotare Trieste, da circa un secolo avviata verso una crescente prosperità, di uno strumento culturale capace di preservare la memoria «delle cose antiche» perché «più prossime al pericolo di perire dimenticate». Tramite l’Archeografo, la città poteva quindi essere in grado di riscoprire e custodire il proprio passato, le tradizioni morali e il proprio «genio».